Immaginiamo un ideale continuum della realtà che parte da quella fatta di atomi fino ad arrivare a quella completamente sintetica. In questo percorso si posizionano diverse tecnologie ed esperienze dette di Extended Reality (XR). La X sta ad indicare qualsiasi possibilità offerta dalle tecnologie dette di “Spatial Computing”, dunque include quelle che abilitano la realtà aumentata, la realtà mista o mixed reality e la realtà virtuale.
Realtà Aumentata
Con il termine realtà aumentata s’intende una realtà arricchita da elementi digitali. Le prime sperimentazioni vanno fatte risalire agli anni ‘50 quando, nei laboratori militari, vennero sviluppati i primi caschi con schermi (“head-up display”), che proiettavano dati aggiuntivi nel campo visivo dei piloti di aerei, in modo da evitare distrazioni.
Bisognerà attendere il 2016 perché la locuzione diventi popolare, grazie al successo mondiale dell’app Pokémon Go. Ideatrice del gioco in AR è Niantic che oggi è determinata a sviluppare un metaverso visibile attraverso esperienze non occlusive, che non faccia perdere il contatto con ciò che ci circonda. Per far ciò è necessario riuscire a mappare la realtà fisica e costruire una replica sintetica della stessa (digital twin) su cui sia possibile sovrapporre, esattamente dove si desidera, elementi digitali coi quali interagire.
Questa direzione è, al momento, esplorata anche da Google e Apple che già controllano il mercato dei sistemi operativi mobili, attraverso i quali è già possibile vedere elementi digitali sovrapposti alla realtà circostante. Il loro obiettivo ulteriore è creare dei dispositi speciali per accedere a queste esperienze. Google aveva già commercializzato i “Google Glass”, anticipando di troppo l’ingresso sul mercato consumer per poi riuscire a riposizionarli come strumento di lavoro. Apple sta lavorando ai suoi occhiali che dovrebbero vedere la luce l’anno prossimo.
Un ruolo nella massificazione della realtà aumentata l’hanno avuto anche i social media. Snapchat è stata la prima app a proporre effetti in realtà aumentata da applicare al viso nel 2015. Poi è stata la volta di Facebook e Instagram. Sia Snap che Meta mettono a disposizione degli ambienti di sviluppo, Spark AR Studio e Lens Studio, per creare elementi virtuali da usare nelle rispettive app. Anche loro stanno lavorando ad occhiali per rendere più immediata la fruizione.
Attualmente diverse aziende usano questi effetti per far provare i propri prodotti prima degli acquisti, come L’Oreal, Farfetch o IKEA.
Realtà Virtuale
Parliamo di realtà virtuale quando vogliamo descrivere una simulazione digitale di un ambiente che l’utente può abitare, interagendo con esso, attraverso specifiche periferiche hardware (visore, auricolari, guanti o joystick e tute aptiche). Queste esperienze si caratterizzano per essere immersive, perché ci si sente parte di un ambiente esplorabile, e interattive, perché è possibile entrare in contatto con altre persone/avatar e controllare gli oggetti digitali.
Se nella realtà aumentata si mantiene sempre una percezione dell’ambiente fisico, nella realtà virtuale tale percezione svanisce, si entra in uno spazio chiuso generato dal computer.
I primi esperimenti concreti risalgono agli anni ‘60, ma è del 1995 il primo casco VR commercializzato, il Forte VFX1. Poi nel 2010 Palmer Luckey sviluppa il primo prototipo di Oculus Rift e attira l’attenzione di Mark Zuckerberg che acquisirà l’azienda nel 2014 per 2 miliardi. Quella mossa oggi ha portato Meta ha ridefinire la propria missione aziendale e a puntare verso la progettazione di hardware e software per il metaverso.
Altri player importanti nel consumer sono Sony, Valve Index, HTC, Pico Interactive, comprata da ByteDance, l’azienda che produce TikTok.
Realtà Mista
Tra le esperienze di Realtà Aumentata e Virtuale si inseriscono quelle definite di “mixed reality”. In questo caso l’utente è immerso in una riproduzione quasi esatta dello spazio fisico circostante, insieme agli oggetti virtuali, con i quali può interagire.
Microsoft è stata tra le prime aziende a sposare questo concetto, associandolo al suo visore HoloLens. L’azienda lo definisce “computer olografico” perché il visore crea elementi digitali, definiti ologrammi, rendendoli parte dell’ambiente circostante, anch’esso una riproduzione digitale. Insomma tutto ciò che si vede è ricostruito digitalmente, ma rispetto alla realtà virtuale non si perde il contatto con l’ambiente.
In questo mercato, rivolto principalmente ai professionisti, spicca la finlandese Varjo che ha sviluppato un dispositivo estremamente potente, chiamato XR-3, che permette di passare istantaneamente da un’esperienza di “mixed reality” ad una di “realtà virtuale” e viceversa, conservando una qualità fotorealistica. Inoltre qui, a differenza di HoloLens, gli oggetti non sono proiezioni tridimensionali trasparenti, ma appaiono quasi indistinguibili da quelli reali. Merito di una tecnologia “Video Pass-Through” (alternativa alla “Optical See-Through”) che fa uso di hardware e software avanzati.
In particolare due videocamere a raggi infrarossi generano una mappatura costante dell’ambiente, due display ad alta risoluzione (70 PPD) permettono di vedere la realtà mista con un campo visivo di 115 gradi (doppio rispetto ai concorrenti), un sistema di tracciamento oculare simula lo sguardo per creare esperienze più realistiche.
Oggi queste tecnologie di realtà mista vengono usate da grandi aziende in tutte quelle situazioni nelle quali è più conveniente simulare la realtà. Ad esempio per la progettazione e il testing di prodotti futuri oppure per l’addestramento di chirurghi, piloti di velivoli e auto. I vantaggi sono tangibili: riduzione dei costi, dei rischi e possibilità di lavorare anticipando il futuro, riproducendolo computazionalmente.
[…] prodotto alla conferenza per gli sviluppatori WWDC. Si chiama Vision Pro ed è un visore per le realtà estese, in particolare per la “mixed reality” cioè per riprodurre digitalmente la realtà […]