Metaverso è una parola macedonia modellata sull’inglese metaverse, formato dal prefisso meta che significa “con, dietro, oltre, dopo” e il sostantivo (uni)verse ossia universo.
Il termine compare per la prima volta nel 1992 all’interno del romanzo “Snow Crash” di Neal Stephenson (pubblicato tre anni dopo in Italia dalla casa editrice ShaKe). Qui, in perfetto stile cyberpunk, si racconta degli Stati Uniti intorno agli inizi del 2000, un paese fuori controllo dopo un crollo economico. Il governo è stato rimpiazzato da corporazioni private (definite “Franchise-Organized Quasi-National Entities”) e “burb-claves” (abbreviazione di enclave suburbane).
“Il cielo e il suolo sono neri, come uno schermo di computer su cui non sia stato ancora disegnato nulla; è sempre notte nel Metaverso e, con le sue luci brillanti, la Strada rifulge come una Las Vegas libera dai vincoli della fisica e della finanza”.
Snow Crash
Il metaverso è un luogo pensato per sfuggire ad una realtà opprimente e insopportabile. Uno spazio tridimensionale sintetico nel quale vengono trasposte tutte le attività umane, con proprie specifiche regole. Una sfera nera di 65.536 km di circonferenza, tagliata in due all’altezza dell’equatore da una strada percorribile anche su di una monorotaia con 256 stazioni, ognuna a 256 km di distanza.
“Hiro non è affatto lì dove si trova, bensì in un universo generato dal computer che la macchina sta disegnando sui suoi occhialoni e pompando negli auricolari. Nel gergo del settore, questo luogo immaginario viene chiamato Metaverso. Hiro trascorre molto tempo nel Metaverso. Lo aiuta a dimenticare la vita di merda del D-Posit”.
Snow Crash
Qualcosa di simile al metaverso di Stephenson era già stato concepito nel 1984 nel capolavoro cyberpunk di William Gibson “Neuromante” (“Neuromancer”). Qui viene definito “cyberspace” o “the Matrix”, “un infinito spazio elettronico a cui è possibile accedere per archiviare, scambiare, carpire dati/informazioni”.
Cyberspazio: un’allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione […] Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano…
Neuromancer
La letteratura di fantascienza aveva già fatto delle incursioni in mondi sintetici ricreabili dagli umani.
Nel 1935 Stanley G. Weinbaum, nel racconto breve “Pygmalion’s Spectacles” (si può liberamente scaricare dalla libreria del progetto Gutenberg), descrive l’invenzione di occhiali magici che permettono di entrare in una sorta di realtà virtuale.
Nel 1950 Ray Bradbury nel racconto “Il Veldt” (The Veldt nella raccolta “Cento racconti”, Mondadori) immagina due genitori che vivono in una casa automatica che li solleva da qualunque incombenza e che dispone di una particolare “stanza dei giochi” in grado di materializzare le fantasie dei bambini della coppia. Ma quando la coppia si accorge che il giocattolo può essere pericoloso, i figli fanno di tutto per non permettere che venga disattivato.
Nel 1953 è la volta di un altro maestro, Philip K. Dick, che in “Il mondo in una bolla” (“The trouble with Bubbles” nella raccolta “Le presenze invisibili – Tutti i racconti”, Mondadori e poi Fanucci) descrive un prodotto chiamato “Worldcraft” che permette alle persone di costruire il proprio mondo all’interno di una bolla “Creamondo”, con tanto di vite umane da allevare. Tutto per attutire la delusione derivante dall’impossibilità di trovare nuovi pianeti abitati.
Insomma, dopo trent’anni dalla sua prima apparizione sulla carta, il termine metaverso comincia ad avere dei contorni più definiti, anche se ci vorrà ancora molto per capire quale sarà la sua forma definitiva.
[…] sembra perseguitare il metaverso fin dal suo esordio letterario nell’ormai ultra citato “Snow Crash” di Neal Stephenson. Senza giungere a visioni così pessimiste, diversi esperti pensano che, […]