Venezia s’immerge, e non è certo una novità, ma una volta l’anno lo fa nella realtà virtuale. Venice Immersive è la selezione di esperienze VR più esaustiva e prestigiosa al mondo, e anche questa volta, alla sua ottava edizione, si conferma come tale, con proposte di altissimo livello, provenienti da tutto il mondo, e in alcuni casi sconvolgenti dal punto di vista emotivo.
Lo sguardo delle esperienze di Venice Immersive spazia dal mondo strettamente VR a quello XR, di “extended reality”, con video 360, altri a 3 o 6 gradi di libertà (le possibilità di movimento nello spazio) e vere e proprie installazioni, dispiegando un esercito di giovani “maschere” molto solerti a coadiuvare e facilitare l’ingresso nelle esperienze dei singoli fruitori.
Nel corso dei dieci giorni della 80a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica ho avuto modo di provare tutte le esperienze sia tra quelle in gara che quelle fuori concorso, e pertanto vi elenco qui a mio insindacabile giudizio le 5 migliori, che mi hanno toccato e coinvolto di più personalmente.
5: Gaudì, l’atelier du divin
Esperienza che sostiene e incoraggia la compresenza di più persone contemporaneamente all’interno dello spazio, il lavoro franco-giapponese è tra i meglio riusciti nel suo genere, che è anche e soprattutto divulgativo. La narrazione parte da un Gaudì sul letto di morte, e si rivolge a noi che siamo chiamati a esserne gli eredi, portando a compimento il senso della sua opera. Dagli inizi con il mecenate Guell, ai decori di casa Batllo, fino all’immancabile Sagrada Familia, quest’opera su Gaudì convince anche per i cambi di scena sempre estremamente spettacolari.
4: Sen
Dal regista giapponese Keisuke Itoh, vecchia conoscenza del Venice Immersive, nasce questa volta una maniera intelligente e delicata di far rivivere e rinnovare la tradizione della cerimonia del tè. I fruitori, a gruppi di tre, sono incoraggiati a tenere in mano una vera tazza, che rappresenta la tipica tazza Raku, che si sentirà pulsare al ritmo del battito del proprio cuore grazie alla connessione con un orologio da polso. All’interno della tazza, grazie a sensori di motion capture, si animerà poi un piccolo animaletto che ricorderà agli avventori l’immaginario di Miyazaki, e ci condurrà in un viaggio evocativo prima di tornare dentro il confortevole tipico ryokan giapponese.
3: Tulpamancer
Forse l’idea più geniale di questa edizione, Tulpamancer mischia l’intelligenza artificiale con la realtà virtuale, nell’unica esperienza davvero personalizzata di Venice Immersive. Sulla base delle risposte date ad alcune domande in ingresso, l’oracolo Tulpa, che deriva dal buddismo tibetano ed è modellato qui con un certo sapore di retro-futuro, consegna la ricostruzione del passato, presente e futuro dell’utente, con immagini sempre diverse. A testimoniare la caducità e l’impermanenza della nostra esistenza, tutti i dati vengono cancellati alla fine di ogni esperienza, e rimangono quindi vivi solo nella memoria di chi li ha esperiti. I limiti dell’IA dietro al sistema sono evidenti, ma l’intuizione del duo newyorkese Marc Da Costa – Matthew Niederhauser va sicuramente nella direzione corretta, combinando due elementi che possono e devono stare insieme, oltre il semplice hype pompato dai media.
2: Jim Henson’s The Seven Raven
Preparatevi alla rivoluzione del libro. Il duo Felix & Paul ha realizzato un’esperienza di realtà aumentata di livello assoluto, con una cura per i dettagli maniacale e restituzione grafica memorabile. Partendo dalla nota fiaba dei fratelli Grimm, e con la voce narrante di nientepopodimeno che Neil Gaiman, la produzione canadese-statunitense ha realizzato uno splendido viaggio esperibile tramite occhiali Magic Leap. A inizio esperienza, ci si vede consegnare un vero libro dalla pagine nere. Inquadrando le pagine con gli occhiali, e sfogliandolo, però, il concetto stesso di libro pop-up viene rivoluzionato, ed è possibile rivivere le animazioni che ripercorrono i passaggi della storia, disegnati in maniera impeccabile dal team di 3d artists. Al netto di qualche piccolo bug di funzionamento, uno strumento che può essere potentissimo.
1: Songs for a Passerby
Che dire di quest’esperienza-installazione di produzione olandese, dove l’unica indicazione che viene data prima di infilarsi il visore è di “seguire la luce”? Non possiamo che unirci alla giuria del Festival che giustamente l’ha premiato come vincitore della sezione. Songs for a passerby è un’esperienza poetica, emotivamente coinvolgente, dove si incontrano cani randagi e cavalli morenti, ma anche il proprio doppelganger, inquadrato in live-action da un’altra prospettiva, e dove quindi si rincorre letteralmente se stessi, in un meraviglioso crescendo labirintico. Il lavoro di Celine Daemen, che dirige lo studio Nergens, muove da una poesia di Rainer Maria Rilke ma coagula intorno a sé un team poliedrico di talenti autoriali, musicisti, poeti, filosofi che produce un oggetto mistico, corredato di materiali a supporto, che non dà nessuna risposta ma fornisce un sacco di domande. E rimarrà in testa a lungo.
A margine, è interessante notare come uno dei temi più esplorati sia quello della disforia di genere e delle tematiche LGBTQI+, rappresentato sia nel semplice “Queer Utopia” sino al ben scenografato “Body of Mine”, che usa il body tracking per incoraggiare a impersonare fisicamente una persona di un altro sesso, passando per il brasiliano “Finalmente Eu”, che presenta degli elementi divertenti e interessanti con un tratto distintivo e particolare.
Molto presente anche il tema dell’Olocausto, anche se purtroppo nessuna delle opere sul tema si distingue particolarmente nella realizzazione. Interessante infine anche “First Day”, produzione ucraina uscita dalla fucina di Biennale College, che riporta gli utenti al primo giorno della guerra con la Russia. Ma duole rilevare che, anche in questo caso, l’idea è molto buona, ma l’esecuzione non all’altezza.
Nel complesso, l’isola del Lazzaretto dove la VR è confinata si presta benissimo a far da sfondo per immergersi in una realtà davvero parallela, ma per quanto la logistica sia impeccabile potrebbe forse aver senso per le prossime edizioni prevedere alcuni spin-off dislocati in postazioni più centrali, capaci di incuriosire e intercettare almeno nelle pause una piccola percentuale del grande flusso di cinefili che orbitano intorno al Palazzo del Cinema. I due mondi sembrano viaggiare su binari paralleli, con pochissima porosità tra di essi quando sarebbe invece fondamentale mettere a fattor comune i due ecosistemi, soprattutto per tentare di risolvere il problema più grande della produzione di esperienze virtuali, ovvero la distribuzione.
Diversamente, è probabile che il fenomeno continuerà a rappresentare una nicchia avanguardistica sperimentale – a meno che non sia proprio questo l’obiettivo.