Nel post passato abbiamo ipotizzato che la realtà (virtuale) che questo o quel metaverso ci promette potrà rappresentare il segno di una svolta epocale nella storia della nostra civiltà. In particolare, parlando dell’immersività intesa come uno dei principi fondamentali di questa o quella idea di metaverso, abbiamo detto che già solo il senso che tale termine evoca, indica modi di sperimentare l’inter-connessione digitale che saranno di tutt’altro genere rispetto quelli che caratterizzano il web attuale. A detta di analisti ed esperti, dovremo però attendere ancora 5-10 anni prima che questa svolta potrà dirsi del tutto compiuta. Eppure, già ora, i metaversi o mondi virtuali esistenti hanno evidenti limiti o, meglio, limitazioni, che riguardano anche i contenuti e le possibilità d’esperienza che noi, per il tramite dei nostri avatar, possiamo già in essi sperimentare.
Evidenze di queste limitazioni le possiamo ritrovare, ad esempio, nei concerti virtuali che vengono proposti già da qualche tempo. Concerti virtuali che, al netto della loro diversa realizzazione, ma anche al netto delle peculiarità del metaverso nel quale si svolgono, mi pare siano tutti caratterizzati da vincoli e prescrizioni che limitano, appunto, la nostra libera creatività di inter-agire. (A questo proposito, ecco una recensione del concerto che Ariana Grande ha tenuto in Fortnite).
Pensiamo ad un concerto nel mondo “reale”. Parteciparvi è ben più che fruire della performance di un artista. È ben più che ascoltare il modo in cui l’artista propone dal vivo la sua musica, limitandoci a cantare le sue canzoni e/o a muoverci al ritmo della sua musica. Partecipare ad un concerto nel mondo “reale” è anche liberare il nostro entusiasmo, mostrare ciò che ci appassiona, interagire alla nostra maniera con chi ci capita di avere vicino; in definitiva, è (anche) esprimere noi stessi, i nostri gusti, i nostri personali modi di fare.
Alla luce di questo modo di vivere un concerto nel mondo “reale”, vedere che, in un concerto virtuale, il modo di supportare il nostro artista è limitato a reazioni che si ispirano ai social o a modi di far muovere il nostro avatar con passi che ricordano i balli di gruppo – passi che spesso sono ideati appositamente per un evento specifico e che possiamo far compiere al nostro avatar solo dopo averli acquistati, proprio come fossero dei “potenziamenti” di questo o quel videogioco – non è proprio il massimo riguardo la libera espressione di noi stessi.
Vedere inoltre che l’esplorazione dell’ambiente virtuale è non solo limitata (il palco e le transenne, ad esempio, ci sono anche nei concerti “reali”) ma soprattutto pre-scritta e indirizzata verso questo o quel percorso pre-stabilito da chi quell’evento l’ha ideato e realizzato – molto probabilmente ispirandosi anche, e di nuovo, a questo o quel videogioco -, non sembra così entusiasmante.
Vedere infine che il nostro stesso modo di fare e inter-agire con gli altri avatar presenti al concerto è in buona sostanza pre-determinato a monte nelle sue possibilità dai Creators di quell’evento, non è sicuramente un segnale positivo riguardo alla possibilità di fare quelle esperienze liberamente e creativamente immersive che questo o quel metaverso ci promettono. Insomma, la distanza tra mondo “reale” e mondo “virtuale” è ancora ben evidente e marcata, specie, appunto, riguardo le possibilità della libera espressione di sé stessi, delle quali qui non abbiamo che dato uno schizzo.
I limiti del metaverso saranno quelli della nostra immaginazione?
Non credo di investire i metaversi a-venire di troppo elevate aspettative. Né che sia eccessivo paragonare un concerto nel mondo “reale” con uno nel metaverso. Anche perché la realtà virtuale che questa o quella idea di metaverso ci propone dobbiamo considerarla proprio come una vera e propria realtà, che può essere benissimo messa a confronto con la nostra attuale realtà “materiale”.
Questa ricchezza dovrebbe riguardare sia ciò che ci troveremo a sperimentare (a partire dal contesto che sperimenteremo, per passare all’oggetto, all’argomento o all’evento di cui faremo esperienza, per giungere fino ai motivi, alle finalità e agli scopi che ci spingeranno proprio verso quell’esperienza e non verso un’altra), sia come tutto ciò lo (inter-)sperimenteremo (e qui la possibilità di inter-agire il più liberamente e creativamente possibile farà veramente la differenza).
Abbiamo detto che i limiti degli attuali concerti virtuali riguardano le limitazioni entro cui è costretta la libertà e la creatività d’espressione degli utenti finali. Queste limitazioni si manifestano nei vincoli pre-scrittivi che i creator, nel realizzare il loro evento, hanno imposto agli avatar che popolano l’evento.
Il rischio è che il divario tra creator e user diventi incolmabile. Che cioè esplorare il metaverso non divenga altro che un seguire questo o quel programma (di svago, ma anche educativo o formativo, ad esempio) in base a modalità limitanti perché pre-determinate a monte da chi quel programma l’ha ideato, oppure un fare questa o quella esperienza secondo possibilità che risultano essenzialmente vincolanti sempre a causa delle pre-scrizioni che il creator dell’esperienza in questione ha imposto ai suoi user.
Affinché ciò non accada, cioè affinché non si crei una sorta di scollamento tra la proposta del Creator, da una parte, e la sua fruizione da parte dell’Utente finale, dall’altra, penso sia importante arrivare a considerare ciò che distingue questi due ruoli in una maniera che sia il più fluida, con-fusa e interscambiabile possibile. Se da un lato un creator, per realizzare un qualcosa in grado di funzionare anche alla lunga, dovrebbe partire dal vestire egli stesso i panni dell’utente finale (proprio come accade in ogni processo creativo votato al pubblico), dall’altro l’utente dovrebbe poter usufruire di quanti più strumenti possibili per realizzare sé stesso, nel proprio avatar, in modi che gli permettano di soddisfare al meglio le sue esigenze creative. Solo così – penso – un’esperienza nel metaverso potrà essere qualcosa di più di una mera offerta commerciale.
Del resto, il web 2.0 stesso è esploso, fino a diventare ciò che è attualmente, nel momento in cui la creazione di contenuti è diventata un’attività alla portata di tutti. Lo stesso potrebbe accadere con il Metaverso. Prima la libera creatività e il libero utilizzo potranno compenetrarsi e stimolarsi a vicenda, prima sorgeranno validi motivi per abitare in maniera costante questo o quel metaverso.
[…] Tuttavia, non abbiamo ancora oltrepassato questa probabile soglia che dividerebbe un’epoca storica da un’altra e il cui eventuale accadimento sarà causato, e in maniera decisiva, anche dall’avvento del Metaverso. Dobbiamo infatti attendere ancora del tempo prima di poter sperimentare cosa significherà concretamente immergerci in un ambiente virtuale e quali eventuali cambiamenti questo nostro fare potrà provocare a livello delle relazioni di potere, delle modalità di sapere, delle espressioni della nostra soggettività. Allo stato attuale dell’arte – è evidente – le promesse di una realtà virtuale totalmente immersiva sono ben lontane dall’essere mantenute. E non solo per l’attuale assenza di strumentazioni all’altezza di tali promesse. Gli attuali mondi virtuali, e le esperienze che in esso possiamo già fare, sono per ora caratterizzati da limiti che riguardano principalmente una non ancora completa comprensione delle possibilità di inter-azione che una realtà virtuale degna di questo nome dovrebbe permettere. Ne abbiamo parlato in questo post. […]